Il boss "Matteo Messina Denaro, oggi, può essere considerato
il capo assoluto di Cosa Nostra". Ad affermarlo è stato il pm, Marzia
Sabella, nel corso della requisitoria tenuta, davanti il Tribunale di Marsala,
nel processo scaturito dall'operazione "Golem 2" del 15 marzo 2010.
Ieri, sono state chieste, dai pm della Dda di Palermo, Paolo Guido e Marzia
Sabella, a conclusione del dibattimento, condanne per oltre 200 anni
di
carcere, nei confronti del latitante Matteo Messina Denaro e di altri dodici
imputati che, a vario titolo, devono rispondere di associazione mafiosa,
estorsioni, danneggiamenti e favoreggiamento. La pena maggiore, trent'anni di
reclusione, è stata chiesta per il boss castelvetranese Matteo Mesina Denaro.
Le richieste di condanna riguardano esponenti strategici delle famiglie mafiose
di Castelvetrano e Campobello di Mazara, storiche roccaforti del capomafia, da
sempre “cosche” protagoniste delle più significative dinamiche mafiose nella
provincia di Trapani. Venticinque anni di reclusione sono stati chiesti per
Giovanni Risalvato, ventuno anni ciascuno per Tonino Catania e Giovanni
Filardo. Per Lorenzo Catalanotto, autore, insieme al Risalvato e al Manzo,
dell'atto incendiario ai danni del consigliere del Pd Pasquale Calamia,
colpevole di avere auspicato in consiglio comunale a Castelvetrano la cattura
di Messina Denaro, sono stati chiesti vent’anni. Chiesti diciotto anni per
Leonardo Ippolito, sedici anni ciascuno per Maurizio Arimondi e Vincenzo
Panicola, quest’ultimo cognato di Messina Denaro. Ed ancora, quattordici anni
per Calogero Cangemi, sei anni e tre mesi per Nicolò Nicolosi, sei anni per
Marco Manzo, cinque anni e tre mesi per Filippo Sammartano e quattro anni e due
mesi per Giovanni Stallone. I pubblici ministeri nella loro requisitoria hanno
ricostruito l’ultimo dei pezzi di storia riguardanti la latitanza del capo
mafia e di come il boss riusciva a collegarsi con i suoi complici, affidando al
Tribunale una maxi memoria di ottocento pagine.
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