Calatafimi-Segesta (Tp) - A salutarlo
per l’ultima volta sono arrivati in tanti nella chiesa SS. Crocifisso nel paese
d’origine del parroco barbaramente ucciso la notte tra lunedì e martedì scorsi.
Molti i cittadini, i fedeli, e le alte cariche presenti alla cerimonia funebre
presieduta dal vicario apostolico Alessandro Plotti. Il vicario apostolico in
un passo della sua omelia precisa: “Non potremo più
ascoltare la sua voce. Non potremo più vedere i gesti del suo ministero. E
tutto questo perché? - chiede il vicario apostolico - Ecco perché bisognerebbe star zitti e meditare su questo ‘perché’.
Perché? Non c’è risposta purtroppo. Noi ci auguriamo che le autorità facciano
luce su questo delitto, per quanto è possibile. Ma rimane questa ferita
insanabile. Allora, io credo che non c’è altra strada che questa: noi dobbiamo
combattere la violenza in tutte le sue articolazioni, in tutte le sue
conseguenze. Perché c’è una microviolenza e c’è una macroviolenza”. E
prosegue, come se già si fosse a conoscenza del movente e di chi abbia voluto
la morte di un anziano prete. “I nostri rapporti spesso sono conflittuali. E
così aumenta il sospetto, aumenta la competitività e in questo spazio culturale
prende corpo il delitto, come se fosse non dico una bravata, ma un diritto
acquisito di fare giustizia da soli, una presunta giustizia. È la più grande
ingiustizia che si possa che si possa commettere, quella di togliere la vita a
un fratello. Perché?”. E’ decisamente criptico il messaggio di Plotti,
ma le sue parole, che portano ad una lunga riflessione,
suonano come un’accusa celata, di chi sa o sospetta. “In questi anni troppo ha sofferto il corpo della nostra Chiesa, e quest’ultima bastonata ci è
apparsa insopportabile”. E’ uno dei passaggi più significativi
del saluto del vicario generale, a nome dei presbiteri della Diocesi trapanese, mons. Liborio
Palmeri. “Vorremmo,
pertanto, che si fermasse chi
gioca a fare ipotesi – prosegue il vicario generale – che
niente hanno a che vedere con la trasparenza del tuo operato, che nessuno si permettesse di aprire “filoni
di indagini” presenti solo nella loro testa e nella loro maldicenza”.
Il vicario bolla in questo
modo le indiscrezioni su un possibile collegamento tra la morte del sacerdote e
l’inchiesta che vede coinvolto don Ninni Treppiedi, l’ex direttore
amministrativo della Curia di Trapani. “Una pura invenzione” aveva dichiarato
appena si era diffusa la notizia. Il Procuratore, Marcello Viola, tuttavia, non
ha smentito la notizia, pur chiarendo che non si tratta di un incarico
formale. La Procura di Trapani, nel vagliare alcune piste, avrebbe incaricato i
carabinieri di accertare se familiari di padre Di Stefano abbiano acquistato
immobili finiti nell’indagine che ha coinvolto Don Treppiedi e la Diocesi di
Trapani. “Non siamo al buio”, ha dichiarato il procuratore capo Marcello Viola.
Ma anche aggiunto che "Non ci sono al momento piste riferibili". Non
viene scartata alcuna pista. In programma un nuovo vertice degli investigatori
per fare il punto della situazione delle indagini. “Chi avesse notizie ha il
dovere di riferire quanto sa” scrive sulla sua pagina Facebook l’ex vescovo
Francesco Miccichè, rimosso dall’incarico dalla Santa Sede. Trapani è lontana
dalla sua Monreale, ma l’omicidio di padre Michele Di Stefano l’ha riportato
indietro nel tempo, quando era a capo della Chiesa locale. Era stato lui più di
tre anni fa a trasferire padre Di Stefano dalla Chiesa di Fulgatore a quella di
Ummari. Pochi chilometri di distanza ma un vero e proprio shock per i fedeli
che si ritrovarono senza il loro parroco dopo 42 anni. Quel trasferimento portò
con sé qualche polemiche ma l’anziano prete ubbidì senza battere ciglio. L’ex
vescovo di Trapani scrive “l’omertà è un peccato gravissimo”. E a differenza
della Curia trapanese che chiede il silenzio, Miccichè fa il suo appello: “Chi
avesse notizie che possono aiutare la magistratura a svelare il mistero che
avvolge questa morte, frutto di una ferocia inaudita, ha il dovere di riferire
quanto sa”. Ieri ai funerali erano presenti il fratello e la sorella di padre
Michele, Angelo e Maria, arrivati da New York per dare l’ultimo saluto al loro
congiunto, e, in precarie condizioni di salute, l’altra sorella e
l’altro fratello, Pina e Leonardo, che vivono a Calatafimi. I familiari di
padre Michele non avanzano ipotesi sul delitto
e respingono le illazioni su possibili collegamenti con l'indagine di
Treppiedi “Sono congetture – dichiara Diego Todaro, nipote di padre Michele Di
Stefano – che non stanno né in cielo né in terra. Confidiamo nella giustizia”.