Castelvetrano – “Solo illazioni su di
noi”. Dal carcere di Trapani i fratelli castelvetranesi, arrestati con l’accusa
di duplice omicidio, respingono tutte le accuse. Michele Claudio, detto
Giovanni, e Giuseppe Vaiana, rispettivamente di 58 e 51 anni, sono stati
arrestati otto giorni fa dai carabinieri del Norm di Castelvetrano, in quanto ritenuti
responsabili di un duplice omicidio, commesso il 24 agosto 1990 in un ovile di
contrada Dionisio a Campobello di Mazara. Vittime due giovani amanti, Paolo
Favara, 30 anni, e la cognata Caterina Vaiana, detta Rina, 33 anni, che dei due
presunti assassini erano cognato e sorella. Paolo Favara, infatti, era sposato
con Francesca, sorella minore della vittima e dei due supposti Killer. Interrogati
in carcere per ore i fratelli Vaiana hanno deciso di rispondere alle domande
del gip di Marsala, Annalisa Amato,
rigettando tutte le accuse loro mosse. I
due fratelli, secondo i loro legali, l’avv. Vincenzo Salvo, difensore di Giovanni
Vaiana, e il presidente della Camera penale di Marsala, l’avv. Diego Tranchida
per Giuseppe Vaiana, sono stati arrestati soltanto “sulla base di illazioni, di
semplici supposizioni”. Per il sostituto procuratore di Marsala, Dino Petralia,
che ha coordinato oltre due anni di indagini certosine svolte dai Carabinieri
del Norm di Castelvetrano, i fratelli Vaiana avrebbero avuto ciascuno un loro
movente per compiere il duplice omicidio. Secondo quanto emerso dalle indagini
degli inquirenti, che hanno ricostruito i complicati retroscena a distanza di
ben 23 anni, attraverso una serie di articolati e complessi interrogatori,
riscontri e attività tecniche, suffragati dalle intercettazioni telefoniche, l’intento
per Giuseppe Vaiana sarebbe stato quello di insabbiare “lo stupro sulla nipote
minore”, figlia di Rina, all’epoca dei fatti una bambina di 7 anni, mentre il
movente per il fratello Giovanni sarebbe nato per forti rancori, in quanto avrebbe voluto
indietro un prestito di 13 milioni di lire che la vittima aveva ottenuto dallo
stesso per l’acquisto del gregge che la stessa curava con il suo compagno e che
non aveva più restituito. Secondo gli avvocati Tranchida e Salvo, “non vi
sarebbero riscontri reali che condurrebbero alla loro colpevolezza ed entrambi
hanno chiarito la loro estraneità” ai fatti imputatigli durante le ore di interrogatorio
davanti al giudice per le indagini preliminari, Annalisa Amato. Al termine
dell’interrogatorio di garanzia, svoltosi nel
carcere di Trapani, gli avvocati della difesa hanno chiesto la scarcerazione
al gip, che dovrà decidere entro cinque giorni, “non essendo emersi durante
l'interrogatorio di garanzia – hanno precisato i due legali - gravi indizi di
colpevolezza nei confronti dei nostri assistiti”.