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Giovanna Purpura e Maria Anastasi (la vittima) |
Trapani - Il 5 luglio scorso nella campagne di Trapani veniva rinvenuto il
corpo semi carbonizzato della 39enne, trapanese Maria Anastasi, madre di tre
figli, giunta al nono mese di
gravidanza. Chiuse le indagini, la Procura della Repubblica di Trapani s’appresta
a chiedere il giudizio immediato per Salvatore Savalli e Giovanna Purpura, i
due amanti autori dell’efferato delitto di Maria Anastasi, moglie dell’operaio. Maria Anastasi fu colpita alla
testa con un oggetto contundente e data alle fiamme. Nei giorni scorsi i due
amanti, nel corso di un serrato e angoscioso confronto, hanno nuovamente tentato
di addossare l’uno sull’altra la responsabilità del delitto. Versioni che gli
inquirenti non ritengono attendibili. L’operaio, dopo aver
denunciato la scomparsa della moglie, ha fornito successivamente diverse versioni dei fatti. Nel corso
dell’ultimo interrogatorio,
Savalli, oltre ad accusare nuovamente l’amante di essere l'esecutrice materiale
dell’omicidio, ha reso una nuova versione dei fatti che, comunque, non ha convinto
affatto i pm, i quali la considerano inverosimile. Savalli, tirando in ballo due fantomatici
motociclisti, presunti amici della Purpura, ha dichiarato di aver
assistito inerme all’omicidio perché minacciato da i due, non meglio
identificati, presenti sul luogo dove si è consumata la tragedia, armati di
pistola. Secondo gli
inquirenti, ad agire è stato Salvatore Savalli con il supporto dell’amante. L’uomo
deve rispondere di omicidio preterintenzionale con l’aggravante della crudeltà
e di aver cagionato la morte del feto in prossimità del parto. Giovanna Purpura
è indagata per concorso con l’aggravante della crudeltà. Per gli inquirenti, il
concorso è stato materiale, per aver assistito al delitto, e morale, per aver “coperto”
il complice. Ancora da chiarire una serie di elementi su questo orrendo
delitto. Non è ancora stato reso noto il movente del delitto, anche se sembra
essere legato alla storia tra i due amanti indagati. Parte dell’autopsia, che
oltre ad aver rilevato che alla vittima erano state inferte otto picconate,
doveva stabilire, attraverso l’esame dei polmoni, se la donna fosse ancora viva
quando è stata data alle fiamme. Inoltre, si è solo a conoscenza delle micro tracce
ematiche trovate sui pantaloni e sulle scarpe del marito, ma non è trapelata
alcuna notizia di riscontri effettuati sugli abiti dell’amante. E una domanda
sorge spontanea. Possono restare solo delle piccole tracce di sangue, quando la
distanza tra la vittima e il carnefice è poco più di un metro, avendo
riscontrato che l’arma utilizzata è un piccone? Su gli schizzi di sangue sparsi
dappertutto, basterà ricordare l’omicidio di Cogne, del piccolo Samuele. Altra
ipotesi, inerente l’assenza di sangue della vittima sugli abiti della Purpura,
potrebbe essere data dall’assenza della donna, in quanto il delitto lo ha
subito da una debita distanza, magari impotente chiusa in macchina. Ma Giovanna
Purpura nelle sue dichiarazioni non precisa a che distanza fosse rimasta
pietrificata ad assistere al delitto. E poi, è possibile che nel versare il
liquido infiammante, gli schizzi, inevitabili si sa, non abbiano impregnato
alcun indumento? Chi è materialmente il carnefice? Chi la mente? Anche se le
indagini sono chiuse, il giallo resta.